Antropologia contemporanea,  Riflessioni,  Società

Teti, La restanza

Le linee vettoriali delle migrazioni oggi rimappano il globo, vengono categorizzate costantemente con parole e immagini, e purtroppo segnano quasi sempre una geografia del dolore.

Vito Teti, già ordinario di Antropologia culturale presso l’Università della Calabria, si occupa attualmente di antropologia e letteratura dei luoghi.

Con la casa editrice Giulio Einaudi editore pubblica questo testo molto interessante perché esplora i, fenomeno del presente che riguarda la necessità, il desiderio, la volontà di generare un nuovo senso dei luoghi. 

La mia piccola esperienza locale – scrive l’Autore – è ricca di padri che partivano e di madri che restavano, di faticosi e controversi legami, a volte laceranti, tra chi andava via in cerca di un lavoro e chi rimaneva in un’attesa di tracce, di rivelazione. Per me, ne ho coscienza chiara, da sempre partire e restare sono stati indissolubilmente legati. Mio padre partì per il Canada poco prima della mia nascita e vi rimase per otto anni senza mai tornare; vivevano la stessa esperienza quasi tutti i miei compagni di classe. (…) Ho iniziato ad adoperare il termine ‘restanza’ per raccontare i rimasti, le loro storie “in assenza” di qualcosa o di qualcuno, ma mi premeva soprattutto riflettere su un aspetto apparentemente controintuitivo: il viaggio da fermo di chi resta, e, contemporaneamente, sul radicamento archetipico ad un luogo di chi parte. Sentimenti speculari e contrapposti che originano dalla conservazione del sé e che chiedono di raccontare la fecondità ideologica di una coincidentia oppositorum“.

Il testo pone in luce che la restanza non riguarda soltanto i piccoli paesi, ma anche le città, le metropoli, le periferie. Se problematicamente assunta, non è una scelta di comodo o attesa di qualcosa, né apatia, né vocazione a contemplare la fine dei luoghi, ma è un processo dinamico e creativo, conflittuale, ma potenzialmente rigenerativo tanto del luogo abitato, quanto per coloro che restano ad abitarlo.

Il mio – evidenzia l’Autore – non è un elogio del restare come forma inerziale di nostalgia regressiva, non è un invito all’immobilismo, ma è solo il tentativo di problematizzare e storicizzare le immagini-pensiero del rimanere come nucleo fondativo di nuovi progetti, di nuove aspirazioni, di nuove rivendicazioni. Lo so e lo sento il senso profondo del migrare in permanenza, l’epica della resistenza e della rivoluzione nella restanza. L’ho ascoltato dalla voce di tanta gente che ho incontrato nel mio cammino. Perchè per restare, davvero, bisogna camminare, viaggiare negli spazi invisibili del margine“.

Vito TetiLa restanza, Torino, Einaudi, 2022, pp. 168, € 13,00.