Haitiwaji, Sopravvissuta a un gulag cinese. La prima testimonianza di una donna uigura
Una mattina del 2016, con il pretesto di chiudere alcune pratiche amministrative, Gulbahar Haitiwaji dalla Francia (dove viveva da dieci anni) è richiamata in Cina. Di lì inizia il calvario: per quasi 3 anni è stata privata della libertà, ha subito violenza dalla polizia, centinaia di ore di interrogatori, fame, freddo, torture, sterilizzazione forzata e dodici ore al giorno di propaganda cinese, costretta in un drammatico programma di repressione e distruzione della minoranza musulmana degli uiguri.
L’accusa è di aver celato posizioni indipendentiste e attività terroristiche dietro il suo esilio in Francia.
Gulbahar Haitiwaji è una uiguria.
Gli uiguri sono un’etnia turcofona e oggi di fede prevalentemente musulmana, la cui presenza nella regione dello Xinjiang è testimoniata già a partire dal II secolo a.C. in opposizione al primo impero Han che andava proprio allora costituendosi.
Gulbahar Haitiwaji è stata salvata grazie alle disperate trattative della figlia e all’ostinazione del ministero degli Affari esteri francese
La casa editrice torinese AddEditore traduce dal francese (a cura di Sara Prencipe) e pubblica questo bel testo-testimonianza che merita di essere letta sino in fondo, pagina per pagina.
“Sono stata punita – racconta Gulbahar al capitolo 5 – ma non so perché. Un mattino la guardia è entrata e mi ha incatenata alle sbarre del letto, senza una parola. Da allora vivo seduta contro la tastiera del letto di ferro, con le natiche nella polvere. Riesco a distendermi sul materasso soltanto di notte. Attorno a me, la vita della cella 202 ricomincia indefinitivamente sotto il neon instancabile che annulla la nozione del giorno e della notte“.
Un testo come questo va sorsato come aceto amaro, perché in ogni parola di Gulbahar c’è un’alito del suo aver patito, da sola.
“Dopo il Congresso – continua il suo racconto al capitolo 11 – ci hanno private anche del diritto di scambiarci uno sguardo o un sorriso. ‘Abbassa lo sguardo, non sai che è vietato guardarsi? strillano i soverglianti. Se un cordone di detenute passa vicino al mio tengo gli occhi a terra e mi perdo nella contemplazione delle mie orribili pantofole nere“.
Suggerisco la lettura meditata di queste pagine per assaporare il gusto dell’umanità di una donna, come Gulbahar, che ha fatto di tutto per non lasciarsela rubare e depredare.
“In prigione – scrive Gulbahar al capitolo 21 – prima ancora delle lezioni con cui ci fanno il lavaggio del cervello, prima delle grottesche sfilate militari, prima delle notti trascorse su un pagliericcio di legno o di cemento, ci privano della nostra personalità. (…) Non siamo più persone. Siamo come morte“.
Alle 17.40 del 21 agosto 2019 Gulbahar è in aereo per riabbracciare la sua famiglia. È libera.
Gulbahar Haitiwaji con Rozenn Morgat, Sopravvissuta a un gulag cinese. La prima testimonianza di una donna uigura, Torino, Add editore, 2021, pp. 225, € 32,00.