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Lamedica, Hannah Arendt e il ’68. Tra politica e violenza

L’unico antidoto alla disperazione generata dall’impotenza e dalla frustrazione è la libertà di partecipare al mondo comune. Ne è convinta, giustamente e noi con lei, la Arendt.

Eugenia Lamedica è laureata in filosofia a Venezia, si è interessata specialmente di microstoria, fenomenologia e marxismo, pubblicando alcuni contributi. Ha conseguito il Dottorato in Storia del pensiero filosofico presso l’Università di Verona. Autrice della monografia Dal fondamento alla fondazione. Hannah Arendt e la libertà degli antichi, la sua ricerca attuale mira a valorizzare alcuni elementi del pensiero arendtiano nell’ottica di una fenomenologia dei paradigmi post-fordisti.

Con la prestigiosa casa editrice Jaca Book pubblica questo testo facendo un’analisi degli anni del ’68 con gli occhi e lo sguardo di Hannah Arendt.

Hannah Arendt – scrive l’Autrice nell’Introduzione – non ha probabilmente bisogno di presentazioni: l’incessante produzione di saggi sulla sua vita e il suo pensiero e perfino l’uscita di una pellicola cinematografica – privilegio concesso raramente a filosofi e pensatori – sono altrettanti segni di una popolarità che non accenna a diminuire. Più interessante sarebbe forse indagare le ragioni di questa fortuna. Una cosa è certa: in Italia l’interesse per questa pensatrice estranea a tutti gli schemi non avrebbe mai potuto affermarsi finché permaneva l’egemonia culturale della grande famiglia marxista. Non è un caso se il primo convegno che le fu dedicato nel nostro Paese, che riscosse un immediato successo di pubblico e di critica, sia avvenuto nel 1985, a dieci anni dalla sua morte e alle soglie della dissoluzione del blocco sovietico”.

Il testo è strutturato in due sezioni:

1a sezione. La politica dai consigli rivoluzionari alla disobbedienza civile.
2a sezione. La svolta impolitica del movimento studentesco.

L’idea di politica di Arendt – evidenzia l’Autrice – nasceva del resto in diretta ed esplicita antitesi alla riflessione sulla natura del totalitarismo. Quanto quest’ultimo aveva creato una condizione di isolamento e impotenza dove il singolo individuo. figurava come l’accidente superfluo di un processo storico senza fine, simboleggiato dal movimento privo di scopo del terrore, tanto la politica era diventata per lei espressione della creatività dell’azione comune e della gioia del condividere un mondo insieme agli altri; una politica in cui il potere acquistava, forse per la prima volta in modo così netto nella storia del pensiero occidentale, un’accezione eminentemente positiva: potere come poter esprimersi e avere la possibilità di agire; un potere, quindi, tanto più legittimo e perciò stesso efficace quanto più diviso e condiviso, lasciato emergere nel dialogo della pluralità e dal confronto delle differenze”.

Eugenia LamedicaHannah Arendt e il ’68. Tra politica e violenza, Milano, Jaca Book, 2018, pp. 124 € 16,00.