Macho, A chi appartiene la mia vita? Il suicidio nella modernità
I pensieri che pilotano una persona a uccidersi rimarranno per sempre con lei. Dall’esterno, ogni altro pensiero, non aiuterà mai a possederli. Sfuggiranno alla presa per rimanere per sempre, e solo, con la persona. Ho voluto leggere alcune parti del libro (il totale delle pagine è 543) scritto dal filosofo e intellettuale viennese Thomas Macho, edito da Meltemi, perché la pandemia da Covid-19 oltre a generare tantissimi morti a causa del virus, sta generando un numero crescente di morti suicide causate proprio dal clima psicologico pandemico che, in tanti, non riescono ad affrontare. Psicologi e psichiatri hanno iniziato a lanciare l’allarme cercando – per quanto possibile – di prevenire questo crescente fenomeno in Italia e non solo.
Il titolo del libro nella versione italiana è posto in forma interrogativa: a chi appartiene la mia vita? Nella versione tedesca, invece, il titolo è questo: prendere la vita (Das Leben nehmen) e aggiungendovi la particella riflessiva ‘sich’, si ottiene questa espressione: prendersi la vita. Questa distinzione è una chiave di lettura del testo che lo stesso Autore vuole offrire. “Quello che la lingua tedesca esprime con ‘prendersi la vita’ – scrive Antonio Lucci nella prefazione al testo di Macho – è l’equivalente di ciò che la lingua italiana dice con il suo opposto speculare, togliersi la vita“.
Nella mia vita di prete ho celebrato diversi funerali di persone che si erano ‘tolte la vita’. Già allora, e anche oggi a distanza di tanti anni, sento affiorare in me – quasi come una consegna muta da parte della persona stessa che aveva compiuto tale gesto estremo – questo pensiero: forse, l’unica via di uscita dal dolore lancinante che la stritolava, era quella di riprendersi gli ultimi brandelli di vita che le rimanevano congedandosi per sempre da questa terra. Stare accanto, in questi frangenti, è così delicato che se non sei stato forgiato dal patire della vita, rischi di fare solo danni, per di più perpetui nella memoria.
Il concetto di possedere e possedersi la vita è uno dei punti attorno ai quali l’Autore viennese elabora il testo. “La domanda a chi appartiene la vita e se possiamo disporre d questa vita e della sua fine – evidenzia Macho – probabilmente non veniva ancora formulata nelle culture paleolitiche. Presuppone infatti due concetti che prenderanno forma solo durante la rivoluzione agricola: il concetto di proprietà e il concetto di distinzione sociale, dominio e parentela. Le comunità di cacciatori e raccoglitori non possedeva ancora nulla. Quando gruppi umani, più di diecimila anni fa, cominciarono a fondare città, irrigare i terreni e coltivare cereali incontrarono spesso delle resistenze: perchè qualcuno avrebbe dovuto possedere in esclusiva la terra e i suoi frutti?“.
Nei mesi delle restrizioni e della proibizioni a causa del Covid è stato crescente in una fascia della popolazione italiana il seguente l’interrogativo: sino a che punto lo Stato può darmi limiti e restrizioni alla mia libertà? Come a dire: sono proprietà dello Stato? È un interrogativo che pone Macho in questo libro: “A chi apparteniamo? Ai genitori? A un Dio che ci ha creati? Allo Stato che legittima la nostra identità? A noi stessi?“.
Nella società attuale delle appartenenze multiple, questi interrogativi non devono essere visti, credo, come un ostacolo, ma come un opportunità per avviare un confronto e un dialogo con l’uomo e la donna di oggi, senza preclusione alcuna. È un testo molto impegnativo, quello di Macho, perchè i dibattiti attuali sull’eutanasia e sul suicidio assistito, interrogano parimenti persone credenti-praticanti e persone indifferenti alla Chiesa, ma non a Dio, perché ogni persona vi instaura una sua relazione intima.
Non è di poco conto, inoltre, quanto emerge da indagini, rapporti, ricerche sociologiche (specie da fonti serie e qualificate) della divergenza tra valori creduti e valori praticati in chi si definisce credente in Dio: a un credere in generale all’importanza del rispetto assoluto della vita, per passare a una diversa valutazione quando sofferenza e dolore toccano la persona a te vicina.
Nella mia esperienza di prete, non solo mia e con me di tanti confratelli, vedo il progressivo polverizzarsi della fede nella risurrezione, nelle stesse persone che si definiscono cristiane e attivamente presenti in parrocchia. Risurrezione, vita eterna sono sempre più a lato del pensare e del credere, con ripercussioni non di poco conto sullo stesso credere nella vita quotidiana. Fa riflettere quando Macho scrive che “la risurrezione e la vita dopo la morte hanno cominciato ad apparire meno desiderabili rispetto ai primi secoli di diffusione della dottrina cristiana“.
C’è da pensare, dunque, perchè una riflessione seria sulla vita arriva anche dalla morte.
Thomas Macho, A chi appartiene la mia vita? Il suicidio nella modernità, Milano, Meltemi, 2021, pp. 543, € 28,00.