Corrispondenza epistolare,  Emil Cioran,  Romania,  Testimonianza

Cioran, L’orgoglio del fallimento

Si è persa la bella abitudine di scrivere e spedire lettere su carta, vergate con la penna di proprio pugno, sentire il calcare della punta quasi scavare il foglio come traccia indelebile. È un piccolo viaggio di sentimenti per chi scrive la lettera a mano ed è un piccolo viaggio di sentimenti per chi la riceve. Tastiere e schermi digitali hanno raso al suolo la pratica dello scrivere e desertificato i passi di questo viaggio scrivente.
Il noto filosofo transilvano, Emil Cioran (1911-1995), grazie alle edizioni Mimesis, a tal proposito ci fa un dono ritornando idealmente in Italia con un testo (curato da Antonio Di Gennaro) che raccoglie le lettere tra Cioran e due suoi cari amici conosciuti proprio nel cuore dei libri, ovvero la biblioteca, a Bucarest: Arşavir Nazaret Acterian e, tramite questi, sua sorella Jeni.
L’amicizia con Arşavir e Jeni Acterian – scrive Antonio Di Gennaro nell’introduzione – gioca un ruolo centrale, di assoluto rilievo e si protrarrà nel corso di una vita intera, nonostante le difficili condizioni storiche e strutturali della Romania e i due periodi di detenzione e rieducazione politica che riguarderanno Arşavir, dove conoscerà in pieno regime comunista l’inferno delle carceri di Jilava, di Aiudi e il campo di lavoro forzato a Canal sul Danubio“.
Scrivere oggi una lettera su carta di proprio pugno con la penna è tutt’altra cosa dal digitare le dita sulla tastiera di un computer o di uno schermo del cellulare. I tempi della corrispondenza tra Cioran e i suoi due giovani amici non conoscevano né lo smartphone, né i social. E mi viene da dire, per fortuna. Scrivere a mano è un rito: vi è un coinvolgimento diretto con chi riceverà la lettera che avrà il sapore di vissuto, perchè non è mediata da una grafica sterile digitale, ma da una grafia feconda, umana.
Non è un caso, dunque, la nascita dello studio grafologico e di quanto si riesce ad estrarre dalla grafia di ciascuno di noi. Un vero mondo sommerso, inedito, inaudito, sovente rivelatore di coni d’ombra sui quali approfondire, lavorare, metterci le mani come bonifica costante della propria interiorità.
Con l’età – scrive Cioran al suo amico Arşavir il 27 marzo 1971 da Parigi – si raggiunge una modestia spaventosa e ci si chiede come si possa essere stati, in gioventù, così orgogliosi e così folli“.
Leggere le lettere di corrispondenza tra due amici è farne parte di questa amicizia, al di là del tempo, è come essere presi per mano e condotti in entrambi i mondi interiori di chi scrivi e di chi riceve.
Così è tra Emil, Arşavir, Jeni. Come filigrana si avverte il passaggio della depressione che aveva colpito Cioran “che si acuisce nel corso degli anni – evidenzia il curatore del testo Di Gennaro – e che trova una paradigmatica testimonianza in questi scambi epistolari“.
Per chi desidera conoscere la personalità di Emil Cioran, può addentrarsi in queste pagine di corrispondenza vissuta (non solo nei testi delle sue opere ben note), per scoprirne un lato della sua umanità trafficata e condivisa con i suoi due amici. E riprendere l’esercizio di scrivere lettere a mano e spedirle, con la necessaria attesa che serve, aiuta a non essere prede di rapidità e voracità temporale del tutto e subito.

Emil Cioran, L’orgoglio del fallimento. Lettere ad Arşavir e Jeni Acteran (a cura di Antonio Di Gennaro), Sesto San Giovanni, Mimesis, 2021, pp. 150, € 14,00.