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Falanga, Non si parla mai dei crimini del comunismo

Domanda: davvero non si parla mai dei crimini del comunismo? Davvero nessuno ha mai sentito parlare dei milioni di morti prodotti da questa ideologia?

Gianluca Falanga, studioso di storia contemporanea, vive e lavora a Berlino come libero ricercatore e formatore presso il Museo della Stasi. 

Con la qualificata casa editrice Laterza editore pubblica questo testo che, con acume, smentisce immaginari e luoghi comuni di quello che, nel bene e nel male, è stato il più vasto movimento politico del mondo contemporaneo.

Non si parla mai dei crimini del comunismo! – scrive l’Autore – non vuol essere, dunque, una constatazione oggettiva né un’esortazione costruttiva: è uno statement politico, di parte naturalmente, manifestazione di un interesse puramente strumentale alla storia. Anche perché, nei fatti, è difficile parlare seriamente di congiura del silenzio quando della lunga storia di violenze e crimini contro l’umanità commessi da regimi comunisti se ne parla e scrive diffusamente in tutto il mondo, la memoria delle vittime è tutt’altro che trascurata, la ricerca storiografica, la riflessione critica e il dibattito su quanto accadde nell’Urss di Lenin e Stalin, nella Cina di Mao o nella Cambogia dei khmer rossi sono quanto mai vivaci“.

Il testo è suddiviso in 6 capitoli:

1. Cento milioni di morti!
2. Dovunque i comunisti sono andati al potere…
3. Il comunismo è un’ideologia criminale!
4. I comunisti? Tutti criminali!
5. E allora falce e martello?
6. Topografia ragionata della memoria

Dei crimini del comunismo – evidenzia l’Autore – se ne parla eccome. Anzi, direi che non si è mai smesso di parlarne e mai come oggi ricevono grandissima attenzione. Se apriamo gli orizzonti di analisi oltre la dimensione europea, scopriamo che il lavoro, il dibattito e la riflessione sulla traumatica eredità di regimi dittatoriali ed esperienze di violenza di massa dello Stato non occupano affatto solo le società europee. Dall’America Latina alla Corea, dalla Mongolia all’Etiopia, si elaborano i traumi e le conseguenze di guerre e tirannie, si dibatte sulla persecuzione dei responsabili di atrocità commesse e su come ricordarne le vittime. E ovunque si discuta dell’eredità di dispotismi e repressioni di massa, sorgono monumenti, musei e istituzioni commemorative, che non si limitano solo a celebrare le vittime, ma si confrontano con determinati eventi storici di portata nazionale e internazionale ricorrendo alle più moderne forme di documentazione, elaborazione e divulgazione mediatica. È evidente che, con il venir meno delle vecchie contrapposizioni ideologiche del mondo diviso della Guerra fredda e con lo sviluppo delle comunicazioni e della globalizzazione, si sia venuta a creare una congiuntura molto positiva dell’interesse per la storia che pervade società e Stati in tutti i continenti. In molti paesi questo boom della memoria, che ha visto crimini a lungo tenuti nascosti venire finalmente tematizzati, vittime dimenticate pubblicamente onorate e, in qualche caso, anche taluni carnefici portati a processo e confrontati con le loro responsabilità a decenni di distanza dai fatti, ha prodotto un mutamento fondamentale nelle culture del ricordo, valorizzando la funzione dei memoriali. Ma con la rimozione dei tabù si sono anche aperte aspre lotte per l’interpretazione dei traumi della storia, col ritorno a vecchie ostilità fra gruppi sociali, etnie e Stati, concorrenze fra le vittime e un uso palesemente strumentale della storia da parte di forze politiche e governi“.

Per l’acquisto diretto del testo.

Gianluca FalangaNon si parla mai dei crimini del comunismo, Bari, Laterza, 2022, pp. 224, € 15,00.