Jean, Nel paese degli algoritmi
Questo libro l’Autrice lo dedica ai nonni, perché a 18 anni (2000) le hanno regalato il primo computer della sua vita: Albert e Hélène, questi i loro nomi.
“Al secondo anno di Scienze della materia – scrive Jean – all’Università Pierre-et-Marie-Curie (ora Sorbona) mi iscrissi a un corso opzionale di informatica. E fu lì che, già il primo giorno, scoprii una disciplina matematica molto più antica: l’algoritmica“. Tradotto dal francese a cura di Elena Dal Pra, il testo è pubblicato da Neri Pozza.
Il termine algoritmo è entrato nell’uso corrente. Basta pensare quando chiedi a un assistente vocale (come Siri di Apple) di cercarti una via, un vestito, o una qualsiasi ricerca. Se vuoi visitare gli Uffizi a Firenze, al tuo arrivo, per evitare di fare la fila, ci sarà un algoritmo che ti dice a che ora puoi presentarti, e nel frattempo visiti la città. Ecco, dietro a tutto ciò c’è l’algoritmo.
“Oggi – prosegue Jean – tutti hanno in mente gli algoritmi dei social network, quelli di triangolazione per la geolocalizzazione o l’algoritmo per l’assegnazione dei posti all’università“.
Citando il Larousse (dizionario francese), così è definito l’algoritmo: un insieme di regole operative la cui applicazione permette di risolvere un problema enunciato per mezzo di un numero finito di operazioni.
Per amor di Patria, la Treccani definisce così l’algoritmo: nell’uso odierno, anche con riferimento all’uso dei calcolatori, qualunque schema o procedimento matematico di calcolo; più precisamente, un procedimento di calcolo esplicito e descrivibile con un numero finito di regole che conduce al risultato dopo un numero finito di operazioni, cioè di applicazioni delle regole.
E qui arriva la parte più interessante che l’Autrice sintetizza in questa frase del libro a partire dalla definizione di algoritmo, offrendo un criterio molto interessante, perché è pratico e comprensibile a tutti: “Il problema in questione – dice Jean – non deve essere per forza matematico o scientifico, ma la sua soluzione, più efficiente e rapida possibile, deve richiedere un metodo logico. Per esempio: si può trovare un metodo logico per individuare il melone più grosso in una bancarella del mercato il più in fretta possibile e senza errori. Questo non richiede molto calcoli matematici: bastano l’occhio umano e un metodo di selezione intelligente. Avete il ‘vostro’ metodo e lo applicate ogni settimana al mercato? – si domanda Jean -. È un algoritmo“.
L’Autrice intreccia la sua disciplina di docente (simulazione numerica applicata alla medicina, all’ingegneria, all’economia) con la sua giovane storia di vita (oggi ha 40 anni).
“Scrivo il mio primo algoritmo a 19 anni – scrive Jean e siamo nel 2001 – durante un’esercitazione un po’ particolare. Durante quel primo anno di informatica ho scoperto che oltre alle lingue naturali esistono le cosiddette lingue artificiali, come l’esperanto. I linguaggi di programmazione hanno sempre puntato ad aggregare il maggior numero possibile di persone in ogni parte del mondo intorno allo sviluppo di contenuti informatici: software, per esempio“.
La genialità di questo testo è di non essere troppo scientifico, con il rischio di essere letto e compreso solo dagli addetti ai lavori, ma è l’Autrice usa un tono semplice e immediato, proprio perché le sta a cuore che il lettore capisca i termini e, di conseguenza, dare un senso alle sue azioni.
Il termine bias, ad esempio, è una parola centrale in ogni algoritmo. Anticipo che bias significa come io guardo una cosa rispetto a un’altra persona, abbiamo due visioni diversi, dunque, due pregiudizi.
“Con la mia formazione meccanica – evidenzia Jean – io non vedo la cellula cardiaca alla stessa maniera di un medico. Per me è un entità geometrica omogenea di forma sferica, che si contrae con una certa frequenza. Per un medico, la cellula cardiaca è un entità fisiologica altamente eterogenea in cui si produce un insieme di reazioni fisico-chimiche ed elettriche. Due modi assai diversi di guardare il mondo – chiosa l’Autrice – ed ha ragione”.
Per questo lo sviluppatore di un algoritmo per il riconoscimento facciale di un qualsiasi aeroporto del mondo, ad esempio, deve collaborare con etnografo, uno psicologo per sviluppare un programma il più possibile realistico e senza condizionamenti. Se lo sviluppatore dell’algoritmo è una persona bianca che ha in odio le persone di colore, avrà un bias (pregiudizio) a monte che lo porterà a creare un algoritmo del tutto condizionato. Ed è successo.
Merita, dunque, di essere letto questo testo, perché è accessibile a un vasto pubblico di persone e non per gli esperti.
Aurélie Jean, Nel paese degli algoritmi, Vicenza, Neri Pozza, 2021, pp. 173, € 17,00.