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Kundera, Un Occidente prigioniero

Adottando una prospettiva storica, si interroga sul destino della nazione ceca.

Milan Kundera è uno scrittore ceco nato nel 1929.

La prestigiosa casa editrice Adelphi – che sin dal 1985 pubblica le opere di Kundera – traduce dal francese (a cura di Giorgio Pinotti) e pubblica questo testo alquanto prezioso nella collana Piccola Biblioteca 776.

“Ci sono congressi di scrittori più importanti – scrive Jacques Rupnik – o comunque più memorabili, dei congressi del Partito. Questi ultimi, nella Cecoslovacchia comunista, si susseguivano tutti uguali, mentre i congressi di scrittori potevano essere imprevedibili e talvolta forieri di radicali cambiamenti nei rapporti fra il potere e la società. Ci sono poi discorsi congressuali che segnano un’epoca e che, riletti oggi, mantengono intatto tutto il loro significato”.

Nel giugno del 1967, poco dopo la lettera aperta di Solženicyn sulla censura nell’Urss, si tiene in Ceco­slovacchia il IV Congresso dell’Unione degli scritto­ri. Un congresso diverso da tutti i precedenti – me­morabile. Ad aprire i lavori, con un discorso di un’audacia limpida e pacata, è Milan Kundera, allo­ra già autore di successo. Se si guarda al destino della giovane nazione ceca, e più in generale delle «piccole nazioni», appare evidente – dichiara Kundera – che la sopravvivenza di un popolo dipende dalla forza dei suoi valori culturali. Il che esige il rifiuto di qualsiasi interferenza da parte dei «vandali», gli ideologi del regime. La rottura fra scrittori e potere è consumata, e la Primavera di Praga confermerà sino a che punto la rinascita delle arti, della letteratura, del cinema a­vesse accelerato il disfacimento della struttura poli­tica. A questo discorso, che segna un’epoca, si ricol­lega un intervento del 1983, destinato a «rimodella­re la mappa mentale dell’Europa» prima del 1989. 

“Come i suoi colleghi – evidenzia Rupnik – Kundera non risparmia colpi alla censura, ma affronta il tema della libertà di creazione da un diverso punto di vista. Adottando una prospettiva storica, si interroga sul destino della nazione ceca, la cui esistenza – se si tiene conto delle élite decimate dopo la battaglia della Montagna Bianca e di due secoli di germanizzazione – «era tutt’altro che scontata », per poi tornare alla provocatoria domanda posta alla fine del XIX secolo dallo scrittore Hubert Gordon Schauer: aveva davvero senso adoperarsi tanto per ridare ai cechi una lingua in grado di trasmettere un’alta cultura| Non era preferibile fondersi con la cultura tedesca, allora più sviluppata e prestigiosa”.

Milan Kundera, Un Occidente prigioniero, Milano, Adelphi, 2022, pp. 85, € 12,00.