Lugaresi, Vivere da cristiani in un mondo non cristiano. L’esempio dei primi secoli
La frase che gli ateniesi dicono a Paolo, dopo che ha parlato nell’areopago di Atene, è una delle frasi che, rivolta oggi alla Chiesa da parte della gente, sta conquistando sempre più terreno nel tempo attuale: “Su questo ti ascolteremo un’altra volta” (Atti 17,32). La Chiesa della Parola si trasformando in tante parole? È un rischio reale a tutt’altro che infondato.
La pandemia è stata foriera per mettere sul tavolo diversi nodi cruciali per la Chiesa stessa, a partire dalla sua incidenza nel contesto sociale. In un contesto non cristiano, il Covid sta consegnando alla Chiesa una preziosa opportunità per ri-generarsi tanto al suo interno quanto al suo esterno.
Nel leggere questo testo, edito da Lindau, mi sono soffermato a riflettere su una delle tesi di fondo dell’Autore, storico del cristianesimo antico, convenendo con lui su questo inciso chiaro e lineare: “I cristiani dei primi secoli – scrive Lugaresi – per vivere la fede nel contesto di un mondo totalmente non cristiano, senza chiudersi o separarsi, né farsi assimilare da esso, abbiano saputo esercitare nei riguardi della realtà che li circondava una forma di giudizio particolarmente incisiva ed efficace – citando San Paolo – nel vagliare tutto e trattenere ciò che è buono“.
Il disfattismo è il pane del nemico, così come chiama Ignazio di Loyola satana. Il nemico conosce bene le vie per nutrire la persona di oggi – come quella di ogni epoca – al fine di rattristarla sempre più, gettandola in una rassegnazione progressiva.
Finire non è sinonimo di scomparire. Finire, a mio avviso, è volano al ri-fondare, ri-generare, raschiando il fondo. La pastorale di oggi è cartina tornasole, già da diversi anni, che si è a un bivio: o si rigenera la relazione cristiana con l’uomo e la donna di oggi così come-dove sono (e non come vorrei che fossero) o si è destinati all’estinzione.
Non si tratta affatto di rin-chiudersi in sacrestia e celebrare reiterando senza il vissuto della gente, ma di tarare ex novo la coordinata della navigazione ecclesiale con il popolo. “Capacità di coinvolgersi con l’altro ed entrare nel suo mondo – evidenzia lo storico Lugaresi – sapendo distinguere con ciò che vi è di più buono da ciò che è cattivo (krisis), per fare il giusto uso (chrêsis) di ogni valore compatibile con la verità divina“.
La sfida per la Chiesa di oggi, in definitiva, si gioca qui: rigiocarsi in toto nelle storie di vita delle persone come e dove sono; riaggancarsi al loro vissuto perché lo spirito del vangelo torni a scorrere e pulsare.
“Il cuore dell’incertezza dei nostri giorni – scrive nella postfazione Massimo Camisasca vescovo di Reggio Emilia-Guastalla – sta in un impoverimento della fede, non solo della fede pensata, ma anche di quella vissuta“.
Merita di essere letto questo testo perché aiuta a capire che non serve a nulla né rimuovere il presente autoconsolandoci, né restare legati nostalgicamente al passato, né attendere che arrivino tempi migliori.
La vitalità per la Chiesa è nella vita della gente. Come? Avviare processi di discernimento è un primo saggio passo in ogni parrocchia.
Leonardo Lugaresi, Vivere da cristiani in un mondo non cristiano. L’esempio dei primi secoli, Torino, Lindau, 2020, pp. 293, € 24,00.