Bizzeti, La logica di Pentecoste a Gerusalemme versus quella del peccato a Babele
Per mesi è stato gridato, cantato, appeso ai davanzali che sarebbe andato tutto bene. Tutto bene, poi, non è andato affatto. Anzi. Le molteplici varianti del Covid-19 dicono che ne avremo per lungo tempo, con il reale rischio di anestetizzarmi ai morti a 3 cifre di ogni giorno e affini.
Nell’ultimo testo del gesuita p. Paolo Bizzeti, vescovo in Anatolia, c’è anche la pandemia non tanto perché ‘va citata’, ma come paradigma per ri-fondare, ri-generare la Chiesa nel suo pensarsi, prima ancora della sua azione, soprattutto in ruoli, ancora inediti ma necessari, delle singole persone del popolo di Dio. Perché poi, stringi stringi, la partita in definitiva si gioca su come il prete vuole continuare ostinatamente a vedersi (ed essere visto) in parrocchia, e come la gente da tempo ha iniziato a stancarsi (andando a sfamarsi altrove) di un verticismo clericale. Senza rendersi conto che sta crollando omnia e ci si preoccupa delle tendine da appendere alle finestre.
“Nel corso dei secoli purtroppo – evidenzia Bizzeti – si è finito per fare della vocazione comune a tutti i discepoli di Gesù una vocazione particolare, quella dei missionari e missionarie, oppure si è delegato a presbiteri e suore il compito dell’annuncio della Parola di vita“.
Ora, senza nulla togliere a questo, ovviamente, il cambio di rotta è questo: “l’esigenza di raccontare Gesù e la sua arte di vivere (= sapienza) – precisa il vescovo p. Paolo – è costitutiva degli uomini e donne che fanno esperienza dello Spirito Santo“.
Sono sempre più persuaso che la necessità del tempo attuale non sia di annunciare primariamente ed esclusivamente Gesù all’uomo e alla donna di oggi. O si riparte dall’umanità nuda e cruda dell’uomo e della donna di oggi così come le incontro, così come sono (storia presente e passata) e non come vorrei, oppure credo che la Chiesa coltiverà una progressiva insignificanza dal vissuto sociale.
Non è un caso, dunque, che Bizzeti, muovendo il suo sintetico e incisivo libretto, tra i capitoli 10-11 della Genesi e i capitoli 2-4-5 degli Atti degli apostoli, scrive: “Luca negli Atti illustra in vario modo l’arte spirituale dei veri evangelizzatori che sanno modulare il loro annuncio a seconda dell’ambiente e delle circostanze, arrivando persino in certi casi a non parlare nemmeno di Gesù: vedi il discorso di Paolo e Barnaba a Listra, in un contesto pagano”.
La Listra di Paolo e Barnaba, ieri, è la Listra della Chiesa in Italia oggi. Questa sintesi non è incline a nessun disfattismo inutile; anzi, rilancia proprio alla Chiesa stessa che “il problema del cristianesimo – sottolinea Bizzeti – non è essere riconosciuto a livello civile (sebbene sia importante garantire la libertà di esprimere la propria fede al pari di poter andare al ristorante o in libreria) ma se ha un senso da proporre circa l’avventura umana quando esso sembra dileguarsi e non ci si può più accontentare delle piccole o grandi soddisfazioni o piacere della vita ordinaria“.
Suggerisco vivamente l’acquisto di questo breve testo (53 pagine), edito con Il Pozzo di Giacobbe, denso di prospettive e orizzonti praticabili, possibili, realizzabili, proprio perché p. Paolo (conoscendolo sin dall’adolescenza) è persona concreta, con i piedi per terra e una fede in Dio forgiata grazie anche alla condivisione in Turchia con i rifugiati cristiani provenienti dai vari paesi del Medio Oriente.
Si è ancora in tempo, dunque, per evitare che la Chiesa “si rimpicciolisca – come dice p. Paolo – non per mancanza di persone interessate alla proposta cristiana ma perché ostinati nel mantenere una Chiesa unicamente incentrata sui presbiteri e sulla celebrazione eucaristica“.
Chi ha orecchi per intendere, e anche per chi si rifiuta, intenda!
Paolo Bizzeti, La logica di Pentecoste a Gerusalemme versus quella del peccato a Babele, Trapani, Il Pozzo di Giacobbe, 2021, pp. 53, € 8,00.